Orifiamma

o-ri-fiàm-ma

Significato Antica insegna dei re di Francia; gonfalone, bandiera; simbolo, insegna

Etimologia dal francese oriflamme, composto di orie “d’oro” e flamme “fiamma”.

  • «Tiene alta l'orifiamma del suo paese.»

Ci sono diversi modi per indicare il vessillo, la bandiera — elementi che vivono in un significato concreto, certo, ma anche in un significato figurato che è perfino più interessante. Essendo letteralmente simboli, non è strano. Il termine di oggi in particolare ci permette di denotare un elemento del genere con una ricchezza di contorno davvero rara, grazie al riferimento a uno stendardo straordinario, serto di storia e leggenda.

L’orifiamma fu lo stendardo dei monarchi francesi durante il medioevo, celebre per la sua ostensione in battaglia. Dapprima visse come normale reliquia: era un drappo disseminato di stelle dorate, di fiamme dorate, e terminava in due o tre punte, ma il colore rosso della sua seta si doveva nientemeno che al sangue di san Dionigi di Parigi, decapitato nella seconda metà del III secolo. Fu conservata proprio nella basilica di Saint-Denis per lunghi secoli. Se ne sente parlare di più nel nuovo millennio (il II, beninteso), quando acquista il suo ruolo istituzionale, ed è già leggenda: la troviamo nella Canzone di Orlando, la seguiamo con re Carlo Magno anche nel suo mitico, e a lungo creduto vero, pellegrinaggio in Terra Santa.

Il fatto curioso è che è una reliquia, certo, e come molte reliquie non ci si è mai formalizzati troppo nel riprodurne nel caso in cui l’orifiamma originale (o la copia della copia della copia) andasse perduta. Non è un’idea stramba, specie per la monarchia francese: «Il re è morto, viva il re!» è una celebre frase che ci squaderna l’idea della continuità non solo della monarchia, ma del re stesso in un corpo mistico che si sovrappone a quello mortale, e che s’incarna di sovrano in sovrano (la materia è famosamente trattata ne I due corpi del Re, dello storico Ernst Kantorowicz). Ad esempio l’orifiamma fu persa nella settima crociata, quella di Luigi IX il santo in Egitto, e fu persa nella disfatta di Crécy contro gli inglesi (sarà ancora oggi appesa nel salone di un qualche castello di antico casato del Sussex, immagino). C’è chi vuole che l’ultima volta sia stata persa ad Azincourt, sempre contro gli inglesi, e chi invece ricostruisce che sia stata persa prima. Siamo comunque nel Quattrocento, il medioevo volge al termine, e questo particolare talismano, spirito del medioevo francese, sembra cessi di reincarnarsi (pure, senza che sia sorprendente, c’è chi ne fa proseguire la storia ben oltre).

Il francese oriflamme è composto (non pacificamente, però) di orie cioè “d’oro” e flamme che ha il significato evidente di “fiamma”, ma anche quello di “giglio” (e nel latino medievale aveva anche quello, pertinente, di “bandiera”). Peraltro il giglio è l’altro grande simbolo araldico della monarchia francese — scelto dallo stesso Clodoveo, si dice, o ipotetico risultato di una stilizzazione dei rospi del suo blasone.

Quando raccontiamo di come ogni rappresentante internazionale abbia esposto la sua orifiamma, quando diciamo che toccherà a te portare alla manifestazione l’orifiamma dell’associazione Gli amici del fungo porcino, o notiamo le bizzarre orifiamme conservate nelle teche del circolo Il Castagnaccio fra le coppe di briscola, possiamo affrancarci dall’ovvietà di bandiere, vessilli, e soprattutto dalla stanchezza istituzionale del gonfalone (collega, peraltro, poiché ‘bandiera di guerra’ in francone). E lo possiamo fare con tutta la serietà o la carica ironica del riferimento al massimo storico. Ma non solo.

Quale bandiera è un simbolo: ideologico, politico, religioso e oltre. Anche in questa dimensione, che si astrae dal palio fisico, l’orifiamma può prosperare. Tramite l’orifiamma di un’opera d’arte o di un prodotto, una città si rende universalmente riconoscibile; ci stringiamo intorno all’orifiamma di una canzone, di una celebrazione; e la primavera è presentata dall’orifiamma del glicine.

Parola pubblicata il 29 Aprile 2023