Pantalone

pan-ta-ló-ne

Significato Indumento che copre separatamente le gambe di una persona dalla vita

Etimologia attraverso il francese pantalons, da Pantalone, maschera della Commedia dell’Arte.

  • «Lo sapevo, mi sono sporcato i pantaloni col sugo.»

Quando si parla di sinonimi ci sono delle sfide di discernimento che hanno una difficoltà ultima. Che differenza c’è fra calzoni e pantaloni?
Be’, consci del fatto che stiamo toccando un argomento di importanza vitale, avventuriamoci.

Tutto comincia — come s’immagina — a Nicomèdia, fiorente città non lontana da quella che avrebbe poi preso il nome di Costantinopoli. Siamo nel III secolo, e il giovane Panteleémon, che ha appena ereditato, viene denunciato perché cristiano. Siamo sotto l’imperatore Diocleziano, in un periodo di grandi persecuzioni, ma Panteleémon — iniziamo pure a chiamarlo Pantaleone — non abiura, anzi. Condannato quindi a morte, le provano tutte, proprio tutte: la decapitazione, ma la spada si scheggia, l’affogamento, ma il masso galleggia, la morte sul rogo, ma il cielo pioveggia. Un dramma, per questi poveri boia romani, che difatti si convertono uno dopo l’altro. Pantaleone riceve il martirio solo quando dà il consenso espresso.

Fatto santo, considerato e invocato come ausiliatore contro la malattia, Pantaleone è al centro di un culto orientale molto vivace — che attecchì subito anche nella città italiana porta dell’Oriente, Venezia. Pantaleone divenne un nome molto comune, fra i veneziani.

Quando nel brodo primordiale della Commedia dell’Arte alcune maschere inziarono a distinguersi, fra queste spiccò subito la veneziana Pantaleone, ma diciamo pure Pantalone. Figura eterna del mercante ricco e avaro, accompagnato dall’altrettanto eterno servo Zanni, per la strabiliante longevità fece in tempo a mutare. Pantalone si fece burbero e scorbutico custode delle tradizioni, e finiva per pagarla sempre al posto degli altri — non lo diciamo forse ancora? Paga Pantalone! Insomma, finì per farsi amare dal pubblico, e da maschera trascese nel teatro di Goldoni, nel teatro borghese.

Che storia, quella di Pantalone, e che figura. Barbetta aguzza, naso adunco, e un modo di vestire riconoscibile, con queste calze tutte rosse, questi calzoni. Questi pantaloni.
La maschera della commedia dell’arte passa il nome al capo d’abbigliamento più riconoscibile che portasse. Lo passa in francese, lingua prontissima a cogliere parole da Venezia; indi i pantalons arrivano a noi.

Le calze e i calzoni sono della pianta del calzare delle calzature, del calcagno, una pianta forte e grande ma certo umile. Il pantalone e i pantaloni hanno un grado di ricercatezza più elevato, garantito dalla matrice teatrale, dal suono più composto (con quella ‘t’ occlusiva che è quasi una piega nel mezzo), dall’origine che s’impiccia poco delle concretezze di ciò che s’infila sulle gambe. I calzoni sono senz’altro più plebei, e da una cinquantina d’anni non c’è gara.
Lo notiamo quando cercano di vendercene: sono tutti, tutti pantaloni. Perché i calzoni si venderebbero a meno. E non parliamo delle brache!

Parola pubblicata il 08 Agosto 2025