Tergo
tèr-go
Significato Dorso, schiena; dietro; sedere; retro del foglio, rovescio della moneta
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tergum, di origine ignota.
- «gli è arrivato un gavettone da tergo.»
Parola pubblicata il 28 Novembre 2023
tèr-go
Significato Dorso, schiena; dietro; sedere; retro del foglio, rovescio della moneta
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tergum, di origine ignota.
Parola pubblicata il 28 Novembre 2023
Se abbiamo un bel latinismo per indicare qualcosa che sta dietro, è chiaro che lo spirito buontempone della lingua lo userà anche per indicare il sedere — magari col pepe di un bel plurale marcato alla latina (le terga), per dare maggior forza al contrasto. Ma prima di arrivare al deretano, c’è altro da considerare.
Il tergo, per quanto in questa veste di maschile singolare sia antiquato, è il dorso, la schiena. Lo era anche quel latino tergum che continua in italiano, la cui origine peraltro è misteriosa e dibattuta. Potrebbe nascere da un riferimento al pelo ispido, duro delle schiene degli animali, seguendo una radice indoeuropea ricostruita come (s)ter- che denota proprio questi concetti — ma ci sono studiosi autorevoli che spernacchiano l’ipotesi, e noi accetteremo con serenità l’approdo al boh.
Ciò che possiamo notare è che questa voce dotta, recuperata nel Trecento, ha avuto un successo lunghissimo e clamoroso, per quanto oggi sia in relativa disgrazia.
Resiste in qualche riferimento tecnico e burocratico: pensiamo a quando su un annuncio immobiliare troviamo decantare un resede tergale, come suona più asciutto delle ricercatezze del postico, più preciso e specialistico rispetto al posteriore o sul retro. Se in fondo a un documento è annotato che prosegue a tergo, significa che il testo prosegue dietro, sul verso, sul retro del foglio — mentre nella nota numismatica riguardo alla certa moneta, si trova annotato quale figura compare sul tergo.
Ma la magia del tergo non si è esaurita. Non di rado i deittici (la galassia di indicazioni spazio-temporali che richiedono punti di riferimento a contesto, qui, lì, dopo, oggi) finiscono per essere fra le parole più banali: avere nella propria faretra una parola capace di indicare il ‘dietro’ in maniera sostenuta è una bella risorsa, capace di dare levatura e pulizia alla frase, e di marcare il riferimento con forza inusuale.
Se faccio cenno all’amico di chiudere il becco perché la persona di cui sta sparlando gli è arrivata da tergo, se stringo a tergo il cioccolatino (l’ultimo) che ho preso per me senza prima offrirlo, se la vera bellezza del luogo è il panorama che si può ammirare a tergo del cortile, sto usando un riferimento abbastanza trasparente eppure insolito, che dà alla frase un senso di premura (o anche di affettazione). Sto vestendo un concetto semplice con un abito che ha qualche pretesa — il che può essere consono o no a seconda dei casi, seri o ironici che siano.
Un discorso analogo vale per i terghi o le terga (è sempre stato il plurale più comune), specie quando si voltano. Dare le spalle è segno universale di disinteresse sprezzante o di fuga in atto: così volto le terga a chi ha trasformato in modo grottesco il progetto a cui abbiamo tanto lavorato, vista la malaparata non mi perito a dare le terga e cambiare aria. (Ma ricordiamo anche il modo in cui le terga spiccano nel tergiversare.)
Il dietro è alto o basso. Ci lasciamo il passato alle spalle e non sopportiamo la presa per le natiche. Così le terga, che come schiene o dorsi non rilevano più — ma che come abbiamo visto hanno tutta una dimensione deittica o simbolica o di retro/rovescio — acquisiscono anche la possibilità della discesa (riferimento assente in latino), e si fanno sederi, deretani e via dicendo. Invano in centro cerco una panchina su cui posare liberamente le terga (il sindaco vuole che io faccia una consumazione), dopo lo scivolone sugli scalini mi dolgono le terga per qualche giorno, e la vespa svergognata ci punge proprio sulle terga. In questa veste le terga sono particolarmente felici, con un travestimento eufemistico dal buon sapore latino che restà però a un grado colloquiale, senza pretendere di tirare in alto ciò che in basso sta naturalmente.