Escussione

e-scus-sió-ne

Significato Interrogatorio del testimone durante il processo; azione esecutiva contro un debitore

Etimologia voce dotta presa in prestito dal latino excùtere ‘scuotere, scacciare, frugare, esaminare’, derivato di quàtere ‘scuotere’, con prefisso ex- ‘via, fuori’.

Anche se già ad occhio si può intendere una certa parentela con la discussione e la percussione, il significato di ‘escussione’ per la maggior parte delle persone è poco trasparente. Però se dicessimo che questo avviene perché si tratta di un tecnicismo proprio della lingua del diritto, diremmo una mezza verità.

Può non sembrare, ma non è una parola con un significato difficile: l’escussione del testimone durante il processo è solo il suo interrogatorio. Può appunto essere sostituita da termini come ‘interrogatorio’ o ‘audizione’. Non ha la natura di insostituibile termine tecnico, esatto e complesso come ‘litisconsorzio’ o ‘concussione’ (parente anche lei!): è un termine che viene appositamente scelto in una rosa di sinonimi che dal punto di vista strettamente tecnico sono equivalenti. Forse, fra gli pseudo-tecnicismi del diritto, è il più famoso — e proprio in quanto tale.

Il suo carattere oscuro per i non iniziati al gergo giuridico sorregge parte del suo successo: ogni liturgia di potere trae una forza peculiare e uno speciale riconoscimento dall’impenetrabilità esoterica. E in simili ambiti liturgici, una parte basilare del prestigio personale riposa anche nel saper usare termini non necessari che però sono esclusivi, appartenenti a un lessico poco accessibile, e che segnano la differenza fra epopti e profani.

Peraltro descrive l’interrogatorio con una sfumatura che, a distinguere i sapori dei latinismi, ha un’efficacia graffiante: il desueto escutere da cui deriva è un allotropo (giunto a noi per via dotta) del verbo scuotere, che invece ci arriva per via popolare. Sono gemelli che hanno condotto vite diverse, ma nascono entrambi dal verbo excùtere, uno ‘scuotere fuori’ a sua volta figlio di quel verbo quàtere da cui vengono tutti i parenti che abbiamo notato.

Il nesso fra lo scuotere e il perquisire, che conduce figuratamente all’esaminare con attenzione, fino al particolare minimo, trasmette l’idea di un interrogatorio acceso e che non dà quartiere (magari senza arrivare alle percosse, anche se etimologicamente sono lì). Figuriamoci: nel primo senso con cui l’escussione è emersa in italiano, nel Trecento, descriveva la procedura esecutiva con cui il creditore si poteva rifare sui beni del debitore — anch’esso uno scuotere, un frugare non poco intenso. Invece l’escussione-interrogatorio è attestata in italiano da meno di cento anni.

Questo termine esclusivo e inessenziale ha quindi un suo perché estetico… per quanto, come accade in una miriade di casi, sia usato più per adesione abituale a un modello linguistico percepito come prestigioso>prestigio più che per esigenze stilistiche consapevoli e di ecfrasi retorica. E soffre comunque di una fragilità profonda che la espone a una grandine di critiche ormai classiche.

Infatti la lingua del diritto (per prima quella vergata nei testi normativi) ha la responsabilità di reggere una funzione pubblica, e una tale funzione richiede la massima accessibilità — nei limiti possibili, circoscritti dai tecnicismi veri. Questa consapevolezza (nemmeno nuovissima) chiede un cambio di paradigma: la lingua giuridica elegante e luminosa è quella che si rende piana e accessibile, non quella che si rifugia nei prestigi dell’esclusività. E l’escussione, per quanto per alcuni possa essere gagliarda, va lasciata andare.

Parola pubblicata il 19 Febbraio 2020