Etereo

e-tè-re-o

Significato Relativo all’etere, che si trova nell’etere, del cielo; celestiale, spirituale; incorporeo, impalpabile

Etimologia voce dotta recuperata dal latino aethera prestito dal greco aithér, derivato da áithein ‘ardere, brillare’.

  • «Più che una creatura eterea, mi sembra un ippopotamo. Ma io amo gli ippopotami.»

Certo è facile essere una parola incisiva e fascinosa, se la gente ti si affolla intorno da millenni per significare roba sfuggente e immaginifica al massimo grado. E l’etere pesca davvero nell’empireo, nei cieli superiori — dalle qualità dei quali l’etereo trae la sua sostanza.

L’etimologia ci mostra il nocciolo poetico dell’etere, asciutto, sobrio, profondamente allusivo: il latino aethera, recuperato come voce dotta, è un prestito mutuato dal greco aithér, un derivato da áithein ‘ardere, brillare’. Questo significato è da ascoltare con particolare attenzione perché è l’ultimo momento in cui sarà uno specchio d’acqua tranquillo: poco sotto si aprono le cataratte della fantasia filosofica e scientifica che ha tentato d’inseguire la descrizione del mondo.

Aithér è un termine che si oppone — sorpresa — ad aer, che era propriamente l’aria bassa. L’etere, nell’antichità, è la regione alta del cielo, spazio e sostanza di natura accesa — aria sublime, fuoco sottile di ordine divino. Ordine di una gran levatura, peraltro: nella Teogonia di Esiodo (una delle opere di riferimento quando si parla di storia mitica delle divinità greche) Etere è una divinità ancestrale — basti pensare che suo nonno è direttamente il Caos primigenio. E la sua dimensione luminosa è predicata anche dal suo essere fratello di Emera (la Giorno).

Già Platone aveva detto (o meglio fatto dire a Socrate, specie nel Fedone) diverse cose interessanti sull’etere, sul suo essere elemento superiore — ma in maniera più suggestiva che sistematica. Invece Aristotele (e ti pareva...) dà un contributo fondamentale per fissarne la nozione per poco meno di due millenni: è lui che lo descrive scientificamente come quinto elemento incorruttibile e trasparente che costituisce tutti i corpi del mondo sopra la sfera della terra. Tutto ciò che sta oltre il circolo sublunare è nientemeno che perfetto proprio perché etereo; di roba fetente e corruttibile ci siamo solo noi e la nostra terra.

Ma la storia dell’etere non si conclude con il superamento del geocentrismo tolemaico, non bastò che Galileo rompesse il guscio del mondo sub-lunare mostrando all'umanità che — altro che perfezione eterea! — la luna è butterata di crateri che la fanno assomigliare a un emmental (traducendo dal suo Sidereus Nuncius, «La superficie della luna non è polita, uniforme, di sfericità esattissima [...] come una grande coorte di filosofi ha ritenuto, ma al contrario inuguale, scabra, piena di cavità e sporgenze»). L’etere sarebbe rimasto un’ipotesi in campo anche nella fisica moderna, quando si pose il problema del mezzo in cui si propaga la luce: si aveva esperienze di onde che si propagano in un mezzo — la terra, l’acqua, l’aria — ma la luce in che mezzo si propaga, nello spazio? Era un problema di non semplice risoluzione, che investiva la natura stessa della luce, e l’etere poteva sembrare una buona spiegazione, anche se doveva avere delle caratteristiche bizzarre (fra l’altro doveva essere rigidissimo, universalmente immobile, e non doveva opporre resistenza ai corpi). Infine, quando fu acclarato che la luce si irradia senza bisogno di mezzo, nel vuoto, l’etere fu definitivamente scartato. Gli eteri rimasero solo in chimica, composti così chiamati per la loro spiccata volatilità.

L’etereo conserva un legame ideale con l’aria alta. Descrive il celeste, e quindi può riferirsi più strettamente al cielo — pensiamo alle eteree congiunzioni che ammiriamo nel firmamento notturno, ma possiamo anche prendere 'Dei sepolcri' di Foscolo, in cui proprio parlando della tomba di Galileo lo indica come «chi vide / Sotto l'etereo padiglion rotarsi / Più mondi, e il Sole irradïarli immoto».

Ma è anche il celestiale, lo spirituale: pensiamo alla bellezza eterea di un canto polifonico, all’esperienza eterea di un’epifania sulla nostra vita che ci lascia in cuore levità e spaesamento. E naturalmente, forse soprattutto, l’etereo è l’incorporeo, l’impalpabile. Le stoffe eteree di un velo, le figure eteree di un quadro, le mousse eteree dei pasticcini. Il tratto distintivo dell’etereo sta nel respiro, che non si concentra sulle trasparenze luminose come il diafano, ma che cerca subito un’altezza rappresentativa nell’elemento che nella tradizione e nell’immaginario è più sublime, più elevato, più sottile.

Parola pubblicata il 06 Maggio 2022