Gravezza
Scorci letterari
gra-véz-za
Significato Pesantezza; disagio, molestia
Etimologia derivato di grave, che è dal latino gravis.
Parola pubblicata il 12 Dicembre 2016
Scorci letterari - con Lucia Masetti
Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.
È una parola ricercata, che mostra delle estensioni di significato notevoli e delle sfumature piuttosto sottili.
Il suo significato primo è lampante: la gravezza è la qualità dell’essere grave, pesante. Si può parlare della gravezza di un fritto intriso d’olio, della gravezza di un passo trascinato, della gravezza di orpelli di Natale esagerati.
La pesantezza della gravezza non è astratta e pulita come quella della gravità: è sentita intimamente, quasi sofferta. Per capire questa differenza, si può sentire che gusto diverso hanno ‘la gravità di una situazione’ e ‘la gravezza di una situazione’. L’attributo di gravità è razionale, quello di gravezza pesa nelle ossa. Tant’è che la gravezza diventa anche il disagio, la molestia: le gravezze della convalescenza non aiutano l’umore, la gravezza del clima impietoso ci invita a starcene rintanati, la gravezza di una scena violenta ci accompagna per tutta la giornata.
Una raffinatezza lessicale di prim’ordine.
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(Umberto Saba, A mia moglie, vv. 25 - 37)
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
In questa poesia Saba paragona sua moglie a vari animali da fattoria: una scelta che già all’epoca offese e indignò (in primis la moglie). Ma aspettiamo a inveire contro il poeta sessista.
Per il suo sguardo, limpido come quello di un bambino, quei paragoni non sono offensivi. Gli animali vivono in armonia e semplicità: perciò nella loro bellezza trapela l’essenza della vita (ci «avvicinano a Dio», scrive Saba). Da qui la mescolanza di lessico aulico e quotidiano.
Prendo ad esempio la mia strofa preferita. Qui il tema è la maternità, come sottolinea l’enjambement (il brusco “a capo”) del primo verso. Siamo però nella fase iniziale della gravidanza, ancora priva di «gravezza» (e i due termine giocano sulla loro affinità etimologica).
Così, nella spontaneità della giovenca, possiamo cogliere il mistero della donna. Prima la gioia «festosa», profonda, come se nel suo corpo si irradiasse una luce nascosta. E poi una «tristezza» piena di dignità e di pazienza, che commuove il poeta.
Questi sentimenti così pieni ci mostrano un animo veramente fecondo: capace di farli maturare, per dare nutrimento al legame affettivo. Essi inoltre vivono nella materialità, nella «carne», ma non sono affatto volgari; anzi, offrono e chiedono un «tenero» rispetto.
La donna è forte proprio perché è vulnerabile, perché vive un affetto totalizzante e schietto. Accoglie la gentilezza con una riconoscenza vera, che non pretende nulla («se la lisci, il collo volge…»). E si affida all’altro con una fiducia disarmata, che perciò implica responsabilità: il «dono» che il poeta le offre è sia un gesto d’amore sia il riconoscimento di un dovere (prendersi cura di lei).
Dunque la giovenca non è libera solo dal peso del vitellino; il suo stesso peso quasi scompare, annullandosi in gesti di delicata dolcezza. Ci rivela così una fragilità inaspettata, ancor più toccante perché apparentemente incongrua alla sua mole.