Meditabondo
me-di-ta-bón-do
Significato Immerso in profondi pensieri
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino tardo meditabundus, derivato da meditàri ‘meditare’.
Parola pubblicata il 29 Maggio 2021
me-di-ta-bón-do
Significato Immerso in profondi pensieri
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino tardo meditabundus, derivato da meditàri ‘meditare’.
Parola pubblicata il 29 Maggio 2021
Questo aggettivo ha una potente incisività rappresentativa, tanto nell’immagine quanto nel suono, ma per essere inteso appieno ci chiede subito un confronto incidentale col meditare — ed è un confronto sorprendente sotto molti profili.
Considerando i modi in cui vive oggi, è curioso notare che l’anima del meditare si è scissa, tanto che praticamente è diventato un’enantiosemia: sacrificando qualche sfumatura, si può dire che da un lato (e tradizionalmente) è un ponderare riflettendo lungamente e con attenzione, nella massima presenza di pensiero, dall’altro (per influenza orientale) è una pratica che scioglie la mente nell’inversa assenza di pensiero. In particolare, usato in assoluto (Tizio sta meditando), il meditare è solitamente di questo secondo genere, mentre un meditare qualcosa, o su qualcosa, è del genere tradizionale.
Ora, il meditabondo scaturisce naturalmente dal meditare pensieroso — e lo fa in latino (meditabundus), dove il meditari aveva esattamente i significati di ‘riflettere, considerare’, come anche ‘macchinare, progettare’ (classicamente, medito vendetta). Quindi passa in italiano nel Trecento con i medesimi significati… ma il meditari da dove è venuto fuori?
Si tratta di un intensivo del verbo medeor — ma è bene essere consapevoli che qui tocchiamo un nodo etimologico di straordinaria importanza. Medeor significa ‘curare, guarire’, ed è il progenitore della medicina. Però arriva a questi significati da una radice indoeuropea con significati di misura e di giudizio. Quella del meditari originale emerge come un’azione di giudizio applicato, intelligente e contemplativo, di cura.
È facile sorridere davanti al meditabondo, che immerso profondamente nei propri pensieri diventa tutto fronte, sperde lo sguardo, si aliena dalla situazione in cui si trova, completamente assorto: il suffisso -bondo ci aiuta molto a farne una caricatura, rappresentativa di persone e opere savie o pretese savie, di spessore o preteso spessore d’attitudine intellettuale. Difficile scrollarsi di dosso l’impressione — alla fine nemmeno troppo fallace — che l’essere del meditabondo sia una bizzarria. Il problema è che il mondo della mente ha dei sigilli impenetrabili dall’esterno, e quindi non affiora a che cosa si applichi il meditabondo, che cosa consideri, in che cosa sia immerso, che cosa scandagli — e quindi il valore del suo stato astratto resta imperscrutabile, ora ammirevole e solenne, ora risibile e affettato.
Durante la cena chiassosa chiediamo all’amica dall’aria meditabonda che cosa la turba; lo zio se ne sta meditabondo col bicchiere in mano, forse incerto sulla sostanza del valore della giustizia, forse incerto se quel vino ha o no un buon rapporto qualità-prezzo; e nel momento meraviglioso, in cui ci verrebbe da dire ‘Attimo fermati, sei così bello’, possiamo accedere meditabondi alla nostra felicità.
Non solo una parola brillante, che si fa notare, ed efficace: è anche teneramente intima.