Rampognare

ram-po-gnà-re (io ram-pó-gno)

Significato Rimproverare, biasimare con decisione, specie a viva voce

Etimologia etimo discusso; probabilmente dal francese antico ramposner ‘insultare’, ma anche ‘riprendere, biasimare’, da prosne divisorio che separa, in chiesa, la navata dal coro.

  • «Pensavo di riuscire a fare la furbata senza farmi notare... Mi ha rampognato davanti a tutti in una maniera che mi ricorderò.»

La sfera semantica del rimprovero è vasta e delicata: visto che la frequentiamo moltissimo, spesso ci capita di usare un po’ le parole che ci vengono, senza attenzioni speciali, e il campo finisce per essere preda di termini d’abitudine, non di rado triviali; in sé, figuriamoci, non hanno niente di male, ma li lasciamo crescere fino ad aduggiare alternative che invece sono davvero rilevanti — perché portatrici di cifre uniche, oltre che, come in questo caso, di etimologie stupende, in grado di esemplificare il rimprovero in maniera formidabile.

‘Rampognare’ significa ‘rimproverare con durezza’. Ha un tratto di autorità forte, e dà l’impressione diretta di un rimprovero compiuto a viva voce — un po’ come lo sgridare, che però è acre, urlato e semplice. Si stacca nettamente per altezza anche dal rimbrottare e dal brontolare, che come lo sgridare hanno un’autorità coinvolta, accesa d’emozione — incline al risentirsi e al rinfacciare. Il rampognare ha un più spiccato tratto di superiorità, anche magari non perfettamente olimpica, conferito anche dall’altezza del suo registro. Il rimproverare può trascolorare in un tono di rammarico (rimprovero te, ma anche io mi rimprovero...), e il redarguire, nella sua eleganza posata e autorevole, manca di una componente… più tonante. E non c’è da esplicitare che espressioni come cazziare o fare parti di merda e simili possono essere usate proficuamente solo in ambiti colloquiali piuttosto circoscritti.

Se dico che il ragazzo viene rampognato quando torna a casa tardi, o che l’agente mi rampogna per una manovra azzardata, o se racconto di come sono stato rampognato alle poste per non aver scritto gli indirizzi al posto giusto sul pacco, dipingo sempre con incisività un’asimmetria di rapporto — non ci si rampogna fra pari. È un’asimmetria di altezza, di potere, di giudizio, che svela chi ha le redini del biasimo. Ha una fermezza decisa, che non ammette repliche, e però più spassionata di altri tipi di riprensione.

La veemenza del termine si legge anche nei suoi significati recessivi: ‘rampognare’ è anche stato un ‘insultare’. Un’ambivalenza che forse continua quella della sua dibattuta origine: una ricostruzione classica, ampiamente accettata ed estremamente d’impatto, vuole che il rampognare nasca dall’antico francese ramposner, che è un insultare, un deridere, insieme a un riprendere, un biasimare. E qui c’è il nodo etimologico più interessante.

Si tratterebbe di un derivato di prosne (dal greco prótyron ‘vestibolo’), che indicava, nell’edificio della chiesa, il divisorio fra la navata e il coro — parte riservata ai cantori situata presso il presbiterio, la zona dove si trova l’altare, o l’abside.

In particolare, descriverebbe in origine l’atto del cacciare qualcuno che è entrato indebitamente nel coro. «Che ci fa lei qui, non può entrare, esca subito»: una correzione pubblica che conosciamo benissimo, che continua, con variazioni sul tema, a colorire le nostre gaffe fatte al museo, in ospedale, nei negozi, a teatro, al ristorante, case private, a scuola — praticamente ovunque ci sia una divisione di spazi riservati, e in effetti anche in chiesa. Una riprensione non solo intensa e ferma, ma bruciante.

C’è chi non abbraccia questa ricostruzione così pittoresca e giudica il rampognare discendente dell’impugnare, un controbattere, un attaccare verbalmente, e del repugnare, un contrastare, un combattere. Quale che sia la verità, il rampognare resta una risorsa brillante per portare, quando ci pare opportuno, un tuono d’autorità nel biasimo.

Parola pubblicata il 29 Giugno 2022