Samaritano
sa-ma-ri-tà-no
Significato Abitante della regione della Samaria, relativo al popolo dei Samaritani, seguace della religione del Samaritanesimo; persona buona, caritatevole, e in particolare, in medicina, donatore di organi o tessuti che mette a disposizione il proprio corpo a chi ne ha bisogno generosamente e senza remunerazione
Etimologia voce dotta recuperata dal latino ecclesiastico samaritanus, che attraverso il latino Samarīa e il greco Samarìa, deriva dall’ebraico Shōmrōn, di origine incerta, forse da Shemer, nome del capoclan da cui il re Omri acquistò il terreno per costruirvi la sua capitale.
Parola pubblicata il 27 Agosto 2021
Parole semitiche - con Maria Costanza Boldrini
Parole arabe, parole ebraiche, giunte in italiano dalle vie del commercio, della convivenza e delle tradizioni religiose. Con Maria Costanza Boldrini, dottoressa in lingue, un venerdì su due esploreremo termini di ascendenza mediorientale, originari del ceppo semitico.
Questa parola è culturalmente centrale, perché legata a una parabola evangelica fra le più famose, riportata nel Vangelo secondo Luca nientemeno che per illustrare chi sia il ‘prossimo’ del precetto ‘ama il prossimo tuo come te stesso’. La storia è semplice: un ebreo viene malmenato e rapinato, e lasciato a terra mezzo morto; passano di lì ebrei rispettabili, ma l’unico che lo soccorre profondendosi in cure è un samaritano. Grande sorpresa, addirittura scandalo. Ma duemila anni dopo ci manca qualche tassello per apprezzare la scottante attualità che aveva questa parabola: perché l’intervento di questo samaritano, che abbiamo in eredità come modello della persona caritatevole, è così inatteso e sorprendente?
Torniamo alla cattività babilonese, una vicenda la cui storicità si perde nelle pieghe del tempo, della leggenda e della tradizione: quando gli ebrei furono deportati a Babilonia le loro terre furono occupate da pochi superstiti e da popolazioni pagane che abitavano le zone limitrofe, secondo un processo storico di assimilazione molto comune. La religione che queste popolazioni rimaste in terra di Canaan, più precisamente nella regione della Samaria (da cui il nome), iniziarono a professare era, a detta degli ebrei che tornarono dall’esilio in Babilionia, una sorta di eresia, un miscuglio sincretico che sfiorava l’idolatria. Ovviamente la campana dei Samaritani suonava un’altra musica: essi affermavano di aver preservato il vero culto del Signore, rivendicavano il patto stretto da Abramo con Dio ed accusavano gli ebrei giudaici di aver stravolto la vera fede mentre si trovavano a Babilionia.
Al tempo di Gesù queste differenze erano note e molto sentite, tanto che i Samaritani erano considerati né più né meno come dei pagani, alla stregua di apostati, miscredenti. Ecco perché la parabola narrata dal Cristo era così scioccante e scandalosa: il povero ebreo battuto e derubato dai briganti non è soccorso né dal sacerdote né dal levita, entrambe figure di grande prestigio nella società del tempo, bensì da un samaritano viandante. Raccontando questa storia, Gesù afferma che poco importa il credo o la posizione sociale o la nazionalità di una persona: colui che fa del bene è operatore di misericordia e di carità cristiane.
Al giorno d’oggi i Samaritani sono poco meno di un migliaio, sparsi tra Israele e territori palestinesi. Professano una fede che può effettivamente essere considerata un’eresia dell’ebraismo, riconoscono solo Mosè come profeta ed hanno una Torah un po’ diversa (l’Esateuco). Ma non sono i soli a fregiarsi di questo nome: samaritani sono anche i seguaci della dottrina filantropica di Henri Dunant, il fondatore della Croce Rossa, che si occupano di diffondere pratiche di primo soccorso in tutto il mondo. Ma più in generale chiunque faccia una buona azione a titolo gratuito, senza voler nulla in compenso, è un buon samaritano. L’esempio più fulgido di ciò sono coloro che mettono a disposizione dei bisognosi organi o tessuti per trapianti urgenti, senza chiedere nulla in cambio, campioni di vera carità e altruismo.