Scimmia

Parole bestiali

scìm-mia

Significato Nome comune della maggior parte dei mammiferi appartenenti all’ordine dei primati, che conta circa 500 specie diverse

Etimologia dal latino simia, derivato da simus, “camuso” (a sua volta dal greco simós), per via del naso più schiacciato rispetto a quello umano.

  • «Non fare la scimmia, mettiti seduto.»

Non serve l’occhio di Darwin per accorgersi che le scimmie sono assai più simili a noi di quanto ci piacerebbe ammettere. Già l’etimologia è parlante: scimpanzé significa “uomo finto” e orango “uomo delle foreste”, mentre bertuccia è il diminutivo di Berta, la donna per antonomasia. Nelle lingue del basso Senegal poi “uomo” è detto gor, da cui gorilla, che è diventato a sua volta il soprannome tipico delle guardie del corpo. E lo stesso giro circolare è percorso da “mandrillo”: nato dall’incrocio tra “man” (uomo in inglese) e “drill”, babbuino, è ora usato come nomignolo per uomini sessualmente procaci.

Ai nostri occhi, insomma, le scimmie sono caricature viventi, l’immagine esasperata e spesso comica dei nostri difetti. Non per nulla “babbuino” ha la stessa origine di babbeo e babbione (e del neologismo harrypottiano “babbano”): tutti rimandano alla radice onomatopeica “bab”, che riproduce il rumore delle labbra sbattute a vuoto. Per cui, quando la professoressa McGranitt esorta i suoi studenti a non trasformarsi in una “balbettante bambocciona banda di babbuini”, ha il pieno sostegno dell’etimologia.

Basta cambiare appena la prospettiva, però, perché sul volto delle scimmie si disegnino ombre inquietanti. Infatti nel medioevo questi animali erano un simbolo del diavolo, impegnato nel costante tentativo di scimmiottare Dio; e anche il gatto mammone del folklore popolare altro non è, se crediamo all’etimologia, che un mostruoso incrocio tra un gatto e una scimmia (maymun in arabo).

A metà strada fra comicità e angoscia sta l’espressione inglese “avere la scimmia sulla spalla”, propria di chi è dipendente da alcool o droga: come se il malcapitato fosse schiavo di un animale che esige, a pena di terribili sofferenze, d’essere nutrito col suo cibo prediletto. E l’immagine sta prendendo piede anche in Italia, talora con risvolti meno drammatici: “Mi è salita la scimmia” era solita dire una mia amica quando la prendeva, per esempio, un’improvvisa ossessione per una serie tv.

Peraltro questo non è l’unico caso in cui le scimmie hanno solleticato la fantasia degli eccentrici abitanti d’Albione. Per lamentarsi del freddo infatti un inglese potrebbe usare la goliardica espressione: “Da far cadere le palle a una scimmia d’ottone” (to freeze the balls off a brass monkey). L’immagine deriva dall’uso, un tempo comune, di ornare le case con statue delle tre scimmie sagge, quelle che con le mani si coprono rispettivamente gli occhi, le orecchie e la bocca. Il che ci porta a un nuovo enigma: da dove saltano fuori le onnipresenti scimmiette?

Certo è che si tratta d’un motto illustrato – “Non vedo, non sento, non parlo” – nato da un gioco di parole giapponese. Infatti il suffisso –zaru, che in giapponese rende negativo un verbo, suona come la parola saru, scimmia. Il significato però è ambiguo, tanto che in Occidente l’interpretiamo spesso come un’espressione negativa di omertà, mentre in Oriente è piuttosto un invito a non indulgere nell’ascolto e propagazione del male (un riflesso, si direbbe, di due opposte concezioni di virtù, incentrate l’una sull’azione e l’altra sul distacco).

E l’ambiguità cresce ancora se le scimmiette sono traslate nel mondo tecnologico: saranno l’emblema di chi si astrae dalla realtà perdendosi nel mondo virtuale? O viceversa incarneranno la saggia prudenza di chi non si fa trascinare nel gorgo di gossip e fake news? Qualunque sia il responso, certo è che il simpatico trio ha ancora molto da insegnarci.

Parola pubblicata il 09 Maggio 2022

Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti

Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.