Terebrante

te-re-bràn-te

Significato Insetto imenottero dotato di ovopositore perforante; di dolore profondo e penetrante

Etimologia voce dotta recuperata dal latino terebrans, participio presente di terebràre ‘forare’, sottinteso ‘con la tèrebra’; terebra significava ‘succhiello’, ed è derivato di tèrere ‘sfregare’ .

Avvicinarsi a una parola terribile mette spesso a disagio: nei vocabolari non ci sono forse abbastanza parole gradevoli che ci permettono di muoverci da corolla a corolla come api spensierate? Perché incupirsi?
La risposta è piuttosto semplice e ha una radice solida: molte parole terribili servono precisamente a dissipare il cupo, a misurarlo. Non si contano le fiabe tradizionali in cui spiriti nocivi vengono domati scoprendone il nome, e l’allegoria popolare nasconde una verità profonda.

Per parlare di questa parola si deve iniziare dal verbo latino tèrere, il cui senso più generale è quello di uno ‘sfregare’ — non il più noto fra i verbi latini, anche se la sua stirpe è vasta, e in italiano va dal tritare alla trivella, dal trebbiare alla termite, dal detrito all’attrito. La tèrebra (figlia di quel verbo) era uno strumento di lavoro, un succhiello, un trapano, ma era anche una macchina ossidionale, simile a un ariete, con cui si trivellavano le mura nemiche.

Ora, questo riferimento — così semplice, incisivo ed evocativo di forme e funzioni — ha avuto un successo speciale in zoologia, un ambito della scienza in cui raccogliere la poesia delle analogie e delle corrispondenze ha sempre avuto un’importanza speciale: nel tempo, la terebra ha fornito varie suggestioni, dalla base per il nome di una famiglia di molluschi gasteropodi (Terebridae), che comprende lumache di mare dal guscio a trivella, fino al nome di un elemento anatomico di alcuni insetti imenotteri, un ovopositore (organo atto a deporre le uova) perforante — e tali insetti sono chiamati terebranti; la nota en passant che grazie a tale terebra, capace di forare gusci, le uova possono essere deposte nei corpi di altri esseri parassitandoli, tinge questa parola di un orrore speciale e naturale. Nella foto, una splendida e distensiva conchiglia di Myurellopsis undulata.

C’è però un altro ‘terebrante’, di maggior rilievo secondo la misura della rappresentazione della nostra esperienza, ed è un aggettivo usato in medicina. ‘Terebrante’ può essere usato come sinonimo di ‘penetrante’ o ‘infiltrante’, ma è specialmente un attributo del dolore — e in questa veste è molto utile. Se il perforante non riesce a staccarsi di dosso una concretezza terragna, se del lancinante non è percepibile o apprezzabile un riferimento o un colore originario, se il penetrante ha un’adeguata attitudine figurata ma è troppo compassato, se il trapanante è troppo grezzo, se lo straziante è troppo esteso e scontornato, il terebrante offre una soluzione che calza in maniera speciale.

La sua figura ha la concentrazione di un dolore profondo e intenso, ma non si scompone in esagerazioni; e non si scompone perché il riferimento alla terebra, per quanto netto, è un latinismo dotto e tiepido.
Ma non ne soffre molto in termini di accessibilità, perché fin dal primo impatto mostra un profilo radicatissimo nel nostro modo di sentire e immaginare parole e concetti: la sua sonorità scura, chiusa e vibrante, che peraltro echeggia in tutta la sopracitata famiglia del tèrere e a cui va aggiunta l’eco di tenebra e di terribile che offre, basta a darci una prima e ragionevolmente buona rappresentazione di che cosa sia un ‘dolore terebrante’ anche se ‘terebrante’ non l’abbiamo mai sentito.

Così si può parlare del mal di testa terebrante di cui soffriamo ogni volta che cambia il tempo, di un dolore terebrante al ginocchio che ci accompagna da un po’, del male terebrante che ci assale alla pancia dopo che abbiamo finito la crema al mascarpone della settimana scorsa — ma era un peccato buttarla via.

Non è un attributo che lenisce il dolore, ma gli imprime una forma; e in quella forma — pur con tutte le difficoltà — lo rende più accettabile e dominabile.

Parola pubblicata il 05 Gennaio 2022