Becco

Scorci letterari

béc-co

Significato Sporgenza cornea che riveste gli archi mascellari e mandibolari di certe specie animali, in particolare degli uccelli, e ciò che ne ricorda la forma; maschio della capra, uomo tradito dalla partner

Etimologia nei primi significati dal latino beccus, di origine gallica; nei secondi, l’etimo è incerto: forse dal latino ibex ‘capra selvatica’, forse di origine onomatopeica.

Due parole che, nonostante si mostrino gemelle, hanno in comune appena il riferimento al regno animale.

Iniziamo dalla più prosaica e pruriginosa: si dice becco (e l’etimologia è discussa), il maschio della capra. Ma sappiamo benissimo che si tratta anche dell’appellativo degli uomini che subiscono un tradimento amoroso - altresì noti come ‘cornuti’. Ora, il becco-caprone è senza dubbio cornuto, e fra le due immagini del tradito è più che plausibile che ci sia una connessione, ma non è semplice squadernarla. Le più autorevoli fonti sono discordi: secondo alcune il becco è un’antonomasia del cornuto, secondo altre è il cornuto che procede dal becco. Quest’ultima ricostruzione ha il pregio di fornire una spiegazione del nesso con l’adulterio: se anche le sue capre consumano lascive liaison con altri, il becco non fa una piega (o almeno così ritengono i dizionari, non so chi abbia verificato). Comunque, sarebbe questo fatto la scaturigine della metafora del becco prima e del cornuto poi.

In secondo luogo il becco è la ben nota sporgenza cornea che riveste gli archi mascellari e mandibolari di molte specie animali; meno precisamente possiamo dire che è la bocca (e insieme il naso) a punta degli uccelli - ma in effetti è giusto con questa approssimazione che vive nei suoi usi figurati e metaforici, ormai perlopiù cristallizzati in catacresi. Si può parlare dei becchi larghi del colletto alla francese di una camicia, o del becco del vecchio piccone ormai bisciato come un kriss malese, del becco di un recipiente, ma anche del compassato invito a chiudere il becco. In effetti, se il becco è metafora di bocca o naso umani, non è mai lusinghiero, e porta volentieri il senso di un atteggiamento garrulo e impertinente, se non rapace.

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(G. Della Casa, Galateo overo dei costumi, cap. XXIV)

Et alcuni altri sono sì golosi di favellare che non lasciano dire altrui; e come noi veggiamo talvolta su per l’aie de’ contadini l’un pollo torre la spica di becco a l’altro, così cavano costoro i ragionamenti di bocca a colui che gli cominciò, e dicano essi. E sicuramente […] fanno venir voglia di azzuffarsi con essoloro.

Confesso che i manuali di “buon comportamento” mi hanno sempre affascinato, ed anche intenerito: con un semplice set di regole cercano di codificare l’interazione sociale, che è forse la cosa più difficile e imprevedibile del mondo. E qui siamo proprio di fronte al padre di tutti i manuali, quello che ha introdotto la parola stessa “galateo” (che in origine indicava semplicemente il dedicatario, Galeazzo).

Storicamente è il terzo anello di una catena iniziata col Principe di Machiavelli e proseguita con il Cortegiano di Castiglione. Il pubblico si è progressivamente allargato (dai principi ai cortigiani, fino alle persone comuni), e perciò l’attenzione si concentra ora sulle virtù più spicciole, quotidiane.

Ma la vera novità del Galateo è la lingua. Nella prima stesura, infatti, il linguaggio è molto vicino al parlato, fino alla volgarità. In effetti pare che questo rispettosissimo trattato sia stato composto per scherzo: Della Casa, ormai vecchio, voleva divertirsi con uno stile “basso”, e prendersi una piccola rivincita sull’ambiente mondano che l’aveva messo da parte. Poi gli eredi diedero alle stampe il testo molto edulcorato, per preservare la rispettabilità del suo autore: e così il trattato divenne, strano a dirsi, un classico suo malgrado.

Dell’impianto originario rimangono comunque molte note di comica schiettezza. Come l’invito, una volta soffiato il naso, a non “aprire il moccichino, e guardarvi dentro, come se perle o rubini ti dovessero esser discesi”. O come la gustosa descrizione, appunto, di coloro che sistematicamente concludono le frasi iniziate da altri, rubandogliele dal “becco” come polli golosi.

questo Galateo, insomma, ha una sorprendente attualità. Non solo per il contenuto - spesso applicabile perfettamente anche all’oggi – ma per la sua impostazione di base: l’educazione alla cortesia e all’equilibrio (doti rare da sempre), l’attenzione alle relazioni sociali, e soprattutto la capacità di riderne. Perché una cosa è sicura: i motivi di riso non verranno mai a mancare.

Parola pubblicata il 23 Aprile 2018

Scorci letterari - con Lucia Masetti

Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.