Arazzo

a-ràz-zo

Significato Tessuto con motivi ornamentali e figure, destinato a decorare una parete

Etimologia da Arazzo, antico nome italiano della città francese di Arras.

Di tanti fenomeni e fatti del mondo si può perdere la memoria popolare — ma nell’origine di certi nomi si conserva. E questo è uno dei grandi poteri delle parole: cristallizzare frammenti di spazio e di tempo in consuetudini linguistiche che vincono di secoli il loro generale oblio.

Arras (qui una veduta fotografata da Jean-Pol Grandmont) è una città del nord della Francia — prossima al Belgio, non lontana dal mare, dal Passo di Calais. La sua storia è antichissima: ad esempio trae il suo nome, che è latino, dagli Atrebati, una tribù belgica di cui era capitale (col nome indigeno di Nemetocenna) e che fu vinta da Giulio Cesare.

Le glorie di Arras hanno visto l’alba nel XII secolo — ma erano ben diverse da quelle che le avrebbero dato gloria perpetua. Fu un vivace centro letterario per trovieri (omologhi dei trovatori provenzali, ma di lingua francese, o meglio in lingua d’oïl), menestrelli e giullari, e alcune società letterarie nate ad Arras ebbero una grande risonanza nell’ambiente culturale dell’epoca — anche se oggi i loro nomi hanno un interesse più strettamente specialistico.

Specie dal XIII secolo, però, ad Arras iniziò a circolare qualcosa che spesso sulle città ha più impatto di qualunque società letteraria: i gran soldi. E oltre che per una fiorente attività bancaria, si distinse in campo tessile per dei tessuti decorati con trame di disegni e scene complesse, destinati a ornare pareti: i famosi panni d’Arras, o d’Arazzo, che era l’antico nome italiano di Arras. Gli arazzi.

Esistevano già, beninteso, tessuti decorativi di questo genere, e sono esistiti in tante culture e in tante epoche lontanissime da quell’Arras medievale — ma nella storia capita spesso che una particolare concentrazione, anche temporanea, di forza commerciale, prestigio, pregio e tipicità di un prodotto valga a legarlo a uno specifico luogo di produzione per antonomasia. Per i tessuti è particolarmente comune — pensiamo al damasco di Damasco, alla mussola di Mosul, al calicò di Calicut, al jeans di Genova, al satin di Zaytūn. L’antonomasia resta, anche se i tempi cambiano — e nel nostro caso l’ambizione dei Duchi di Borgogna verso la costituzione di uno stato indipendente dalla Francia, frustrata con la violenza, condusse a uno stravolgimento dell’economia locale che alle porte del Cinquecento ruppe la tradizione.

L’arazzo è una decorazione che rivaleggia con l’affresco, per posizione parietale e preziosità d’ornamento. Ha dei vantaggi (la capacità di isolare dal freddo, la possibilità d’essere spostato, protetto in caso d’emergenza e riprodotto con una relativa facilità a partire dalla matrice di un cartone dipinto) e degli svantaggi (la deperibilità, la minore adattabilità ai luoghi). Ma curiosamente, non arriva alle vastità figurate del nome dell’affresco — che sa diventare anche la rappresentazione ampia (pensiamo al romanzo che è un grande affresco di un’epoca). Al massimo — per la sua vocazione d’alto ornamento e per i suoi soggetti, che spesso consistono in una narrazione iconografica — possiamo parlare degli arazzi di una grande storia fantasy, degli arazzi di alcune poesie, dell’arazzo di una menzogna ben raccontata. Altrimenti, concretamente, parleremo degli arazzi di Raffaello, degli arazzi che adornano l’antica magione — portando in questo nome fascinoso l’aggregazione spezzata di una storia antica.

Parola pubblicata il 27 Novembre 2021