Clausura
La strana coppia
Str.Cop. Tedesco
clau-sù-ra
Significato Chiusura; regola che in certi ordini limita i contatti fra religiosi e mondo esterno; parte del convento soggetta a tale regola; luogo isolato, vita appartata
Etimologia voce dotta, recuperata dal latino tardo clausūra, derivato di clàudere ‘chiudere’.
Parola pubblicata il 28 Aprile 2020
La strana coppia - con Salvatore Congiu
Parole sorelle, che dalla stessa origine fioriscono in lingue diverse, possono prendere le pieghe di significato più impensate. Con Salvatore Congiu, insegnante e poliglotta, un martedì su due vedremo una di queste strane coppie, in cui la parola italiana si confronterà con la sorella inglese, francese, spagnola o tedesca.
Chi ha dimestichezza con l’etimologia è accostumato all’emergenza di parentele nascoste, talora affatto inopinate, tra parole apparentemente distanti l’una dall’altra. A volte, però – e questa è una – ci si sorprende ancora. Che la clausura abbia a che fare con la clausola, l’enclave, il conclave e il chiostro va da sé: sempre di chiusura si tratta. Decisamente meno ovvio, invece, che sia imparentata con il chiodo, la clavicola e la caviglia – per non parlare del fatto che in tedesco Klausur sia un esame scritto. Quale sarà la chiave dell’arcano?
Nell’antichità, le serrature erano congegni assai rudimentali: essenzialmente, un chiodo o un cavicchio infilato in un anello. Logico, quindi, che clavis (chiave) fosse quasi identico a clavus (chiodo), entrambi derivati dalla radice clau- (il latino classico non distingueva tra u e v), da cui anche claudere, chiudere. La serratura, ciò che sbarrava un ingresso, era detta claustrum (da cui il chiostro) o, in epoca più tarda, clausura (da clausus, chiuso, participio passato di claudere). Dal significato di ‘serratura’, poi, clausura passò ad indicare il luogo che ne viene serrato (fortezza) e infine l’esistenza ritirata dei religiosi tenuti a non uscire dal proprio convento.
Oggi, naturalmente, esistono ancora monaci e suore di clausura, reclusi per vocazione, ma la clausura si è secolarizzata, come tutta la società: c’è quella degli hikikomori, forma estrema di autoesclusione sociale; quella temporanea dell’artista, che quando scende nel suo porto sepolto per trarne alla luce le perle, deve farlo da solo; quella luttuosa di chi attende di poter accettare una mancanza; e infine c’è la clausura di questi nostri giorni sospesi: funzionale, imposta, per sfuggire all’insidia di un nemico invisibile.
Ma l’esame scritto dei tedeschi? Se anche non si condivide l’idea di Michel Foucault della scuola come “istituzione disciplinare” affine al carcere e alla caserma, è innegabile che essa sia un mondo, per certi versi, a sé stante, con pratiche e riti propri, tra i quali svolgono una funzione specialmente simbolica le prove scritte al termine di un ciclo scolastico: quasi una liturgia laica, riti di passaggio celebrati in stanze chiuse, ove occhiuti officianti vigilano affinché nessuna irregolarità infici il rigoroso appuramento dei meriti e dei demeriti.
In questa luce, la Klausur tedesca è perfettamente coerente, persino ovvia nel suo incarnare la natura esclusiva (ex claudere, chiudere fuori) delle prove d’esame scritte, svolte di norma in aule inaccessibili ai profani e sotto il rigido controllo di una commissione esaminatrice. E non si tratta neppure, in questo caso, di un prodotto della Burschensprache, il gergo degli studenti tedeschi che, tra Settecento e Ottocento, ha prodotto delizie come ‘fidel’, ma solo di una banale analogia.
No, non abbiamo dimenticato clavicola e caviglia: le abbiamo tenute in serbo proprio perché niente affatto banali. Anche se per vie diverse, entrambe derivano da clavicula (diminutivo di clavis, quindi ‘piccola chiave’); ma il loro legame con la chiave, più che nella forma, sta nella funzione di collegamento che svolgono – la clavicola tra sterno e scapola, la caviglia tra gamba e piede. Un tempo, infatti, in anatomia chiave valeva ‘giuntura, articolazione’.
Di più: se consideriamo che per chiudere una ferita bisogna unirne i lembi, e per far scorrere l’elettricità si chiude il circuito, siamo sicuri che clausura sia necessariamente separazione e assenza di contatto? A volte, per aprirsi a qualcosa, bisogna chiudersi a tutto il resto.