Invettiva

in-vet-tì-va

Significato Frase o discorso che denuncia, rimprovera, accusa qualcosa o qualcuno

Etimologia voce dotta recuperata dal latino tardo invectiva, sottinteso oratio, ‘(discorso) aggressivo’, da invèhere ‘attaccare, inveire’.

  • «Si è prodotto in un'invettiva scoppiettante.»

Si parla di una delle attività più amate dall’umanità intera: aprire una cateratta di rimproveri e ingiurie facendola scrosciare addosso a qualcuno o a qualcosa. Che bellezza!
È naturale che quando un’attività ci piace così tanto, e ha anche dei profili taglienti, aggressivi, la lingua si precipiti a far sbocciare un florilegio di sinonimi che ne colgano aspetti differenti.

Abbiamo il susseguirsi rinfacciante degli impropèri, la sequela di invocazioni funeste delle imprecazioni, l’offesa dritta al decoro delle ingiurie, le offese stesse, che feriscono moralmente; più formalmente denunce, o perfino complesse requisitorie, più retoricamente apostrofi — fino alle articolazioni di filippiche e catilinarie. L’invettiva però ha una dimensione tutta sua, anche grazie all’eccellenza di alcuni esempi letterari.

È figlia dell’inveire, ma se ne distingue: io posso inveire in maniera scomposta, estemporanea — magari dal finestrino dell’auto, o uscendo dal negozio — mentre l’invettiva ha la dignità di una composizione, anche quando è pronunciata al bar. Eppure ne conserva la forza, lo slancio, uno slancio specifico, come ora notiamo.

Quando si parla di questo genere di esternazioni, è molto comune il riferimento ad un ‘lanciarsi contro’, a uno ‘scagliarsi’. Anche se non è troppo trasparente, questo riferimento si trova anche nell’inveire e nell’invettiva — sono derivazioni ultime del latino vèhere, un trasportare, navigare, cavalcare, precipitarsi, avanzare, perfino volare, quello che per intenderci dà i natali anche al veicolo. L’inveire è un ‘gettarsi addosso’ che possiamo figurarci con quello spirito tipico di chi pare pronto a tirarti sotto con la macchina. Questa resta anche la forza dell’invettiva.

Se non fosse che la prima grande opera in lingua italiana è costellata di invettive feroci contro praticamente tutta Italia, città singole e nazione intera, e contro innumerevoli ruoli e individui, forse questa parola non avrebbe il successo che ha — assurgendo quasi al grado di genere. È una presenza che, certo, ci testimonia la bonomia conciliante di Dante, e che però ci dà anche una misura, un modello, una falsariga d’invettiva: per fare una buona invettiva serve estremismo, non ci si può accontentare di mezze ragionevoli misure, serve una fantasia pirotecnica nel malaugurio e serve anche una misura di ricercatezza linguistica e di brio. Così non puoi solo dire dei genovesi che sono «uomini diversi / d'ogne costume e pien d'ogni magagna», devi anche domandarti «perché non siete voi del mondo spersi?»; pure, non puoi limitarti a dire un piano “spero che muoiano tutti i pisani”, devi dire che Pisa è «vituperio delle genti» e auspicare che le isole vicine si muovano e tappino l’Arno in modo che vi affoghi tutti («muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch’elli annieghi in te ogne persona!»). Infine, se non te ne vuoi risparmiare una en passant, è soprattutto lì che devi essere brillante, e se gli aretini strepitano più di quanto si accorda al loro effettivo potere, un icastico «botoli [...] ringhiosi» può far passare alla storia il tuo insulto.

Quello dell’invettiva è un fenomeno di slancio e dimensione morale, di consistenza acre, di effetto più scenico che persuasivo, e che però, con questo radicamento storico, ha la piacevolezza di corrispondere a una categoria tradizionale. Anche le asprezze possono essere famigliari.

Parola pubblicata il 27 Aprile 2023