Pucciare

puc-cià-re (io pùc-cio)

Significato Inzuppare, intingere

Etimologia etimo incerto, forse dall’ipotetica voce del latino volgare punctiare.

In mano un bel biscotto consistente. Davanti, una tazza con del latte, o del tè. La mano porta il biscotto, finora asciutto, dentro quel latte o quel tè — ma solo per un tuffo di pochi istanti, frutto di un calcolo vitale: se troppo pochi, il biscotto si offrirà ancora arido e friabile alle fauci, se troppi, la parte immersa si sfalderà, precipitando irrimediabilmente al fondo della tazza in una pappa immonda — troppo tardi arriverà il cucchiaino.

Ora, questa è un’azione normale, milioni di persone la compiono ogni giorno nelle loro colazioni e merende. Ma il nome di quest’azione, il verbo che la descrive varia di regione in regione, in Italia. Si tratta di una varietà che, investendo qualcosa di così ordinario, risulta piuttosto straniante.

Approssimando un po’, al meridione prevalgono riferimenti al ‘bagnare’ — soprattutto in derivati incisivi come abbagnare — che però, nella lingua comune, comunicano un taglio un po’ diverso dell’azione. Di solito un biscotto si bagna durante la preparazione di un dolce: in genere, il biscotto che viene bagnato s’intende sia fermo, che non sia impugnato.

Gli usi del centro sono quelli più tradizionali, secondo il metro della lingua nazionale, quelli che normalmente si trovano sui dizionari — come ‘intingere’, che si distingue per quanto è elegante e distinto, e ‘inzuppare’, con un riferimento colorito alla liquida galassia della zuppa — di ascendenza non troppo gourmet, dato che la suppa è ricostruita come ricetta gotica di pan bagnato.

Ma al nord, fra Piemonte e Lombardia, e fino al Veneto, impera il pucciare.
Ora, l’etimologia del pucciare non è un nodo venuto pacificamente al pettine — anzi, nonostante la diffusione televisiva (che l’ha ammantato anche di una certa verve comica) ‘pucciare’ è rimasto escluso dalla maggior parte delle registrazioni dizionaristiche, e un po’ fuori dall’interesse scientifico. Ricorre la proposta che derivi dall’ipotetica voce del latino parlato punctiare, che renderebbe più il colpo di punta, la stilettata del pane o del biscotto nel vulnerabile molle di una salsa o di una bevanda, ma non è una ricostruzione da considerare solidissima. Né sembra imparentato con il sinonimo ‘tocciare’, che pare più diffuso nell’area fra Emilia-Romagna e Veneto.

Di filosofia, di teologia, di scienza non si parla in paese: sono ambiti che richiamano comunità elitarie, ma di provenienze variegate, e le loro parole nascono come standard. Non è nella lingua locale e particolare che matura la formulazione di leggi e nozioni di fisica, di concetti metafisici, di categorizzazione speculativa. Invece il modo in cui si chiama l’inzuppare un biscotto, del pane, anzi la stessa varietà concreta della pratica alimentare in cui qualcosa si bagna in qualcos’altro, affonda negli usi condivisi delle porte accanto. Perciò raccontano una porzione importante d’identità.

Si potrebbe notare infine che ‘pucciare’ ha anche un significato triviale, alludendo all’atto sessuale; ma non c’è quasi parola che non possa avere — e in effetti abbia — un doppio senso boccaccesco, quindi finisce per essere una nota meno pruriginosa di quanto vorrebbe essere.

Parola pubblicata il 20 Gennaio 2022