Serpente
Parole bestiali
ser-pèn-te
Significato Nome comune dei rettili appartenenti al sottordine degli ofidi, caratterizzati dalla mancanza di arti
Etimologia dal latino serpentem, participio presente di serpere, strisciare.
Parola pubblicata il 11 Aprile 2022
Parole bestiali - con Lucia e Andrea Masetti
Un lunedì su due, un viaggio nell'arcipelago dei nomi degli animali, in quello che significano per noi, nel modo in cui abitano la nostra vita e la nostra immaginazione.
Il serpente è l’incarnazione di una minaccia subdola, che attende nell’ombra e agisce con l’arma dei vili, il veleno. Latet anguis in herba scriveva già Virgilio, dipingendo un’immagine che è ormai impressa nella nostra fantasia, grazie soprattutto all’uso che ne fecero Dante e Petrarca: il serpente nascosto nell’erba. E appunto questa fu, secondo il mito, la causa di morte di Euridice, che Orfeo cercò vanamente di salvare col suo canto.
“Una serpe in seno” invece affonda le sue radici in una favola di Esopo: un contadino incontrò sulla strada un serpente mezzo morto di freddo e se lo mise sotto la giacca per scaldarlo. Appena riavutosi però il serpente lo morse, diventando così l’emblema di quelle persone infide che ricambiano col male chi (scioccamente) fece loro del bene.
Tra l’altro non è un caso che il proverbio parli di una serpe, giacché mondo femminile e serpentino sono da sempre intrecciati. Pensiamo all’anguicrinita Medusa (dalla chioma, cioè, fatta di serpenti), alla biblica Eva o alle nagi, bellissime donne-serpente della mitologia induista che trovano una recente incarnazione nella Nagini di Harry Potter.
Ma i vizi di pertinenza dei serpenti non si fermano certo al genere femminile. Una persona che non perde occasione di sparlare di qualcuno “ha il dente avvelenato”, e secoli di faide famigliari sono riassunte nel binomio “parenti serpenti”. Il quale, per inciso, deve la sua persuasività a un’occulta vicinanza grammaticale: come “parente” è il participio presente di parere, generare, così “serpente” lo è di serpere, strisciare.
Del resto anche “rettile” viene dal participio di repere, che vuol dire sempre strisciare: pare proprio che questa fosse, per i nostri antenati, la caratteristica più inquietante dei serpenti. Non per nulla Isidoro, nelle sue fantasiose Etimologie, lega il latino anguis (da cui la nostra “anguilla”) ad angolosus, per via dell’andatura tortuosa di quest’animale.
Eppure il serpente, grazie alla sua capacità di mutar pelle, simboleggia anche la rigenerazione, concretizzata in due celebri emblemi. L’uroboro, il serpente che si morde la coda, rappresenta la vita universale in perpetuo rinnovamento, anche se oggi è spesso usato come sinonimo di “circolo vizioso”. Il bastone di Esculapio invece è l’emblema della medicina, costituito da un serpente arrotolato su una verga; tuttavia, a detta di alcuni, non si tratterebbe affatto di un serpente bensì di un verme parassita, che i medici antichi estraevano avvolgendolo appunto su un bastoncino.
Spesso confuso con questo simbolo è il caduceo, che però di serpenti ne ha due. Si narra infatti che un giorno Ermes vide dei serpenti che litigavano e per dividerli lanciò un bastone, su cui i due si attorcigliarono pacifici. Nacque così il caduceo, simbolo di sapienza e di pace, che divenne perciò l’insegna dai messaggeri.
Non è tutto: l’astuzia tipica del serpente può declinarsi anche come virtù. “Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe” è il consiglio dato dal Vangelo di Matteo, a suggerire che anche nel bene occorrono avvedutezza e ingegno.
Persino il serpente biblico può essere trasformato in un modello positivo, come ha fatto il pubblicitario Lorenzo Marini: il serpente è un ottimo venditore perché in realtà vende, attraverso la mela, il sogno di una vita diversa. È la voce, insomma, di quell’insoddisfazione che non ci fa mai contenti di come siamo, e che è insieme il nostro più grande difetto e la nostra più grande risorsa.