Tropo
trò-po
Significato Traslato, estensione dal significato di una parola o locuzione a un senso figurato; argomento relativista dello scetticismo greco
Etimologia voce dotta recuperata dal latino tropos, prestito dal greco trópos ’ volgimento’, derivato da trépo ‘volgo, trasferisco’.
- «Usa dei tropi davvero fantasiosi ed efficaci.»
Parola pubblicata il 26 Agosto 2025
Ci sono molti generi di figure retoriche, ma quando è tropo è tropo.
Sono tropi tutte quelle figure retoriche che traslano dei significati, che dicono qualcosa per qualcos’altro: il greco trópos è derivato da trépo, giusto un ‘volgo, trasferisco’ (verbone dalla ricca prosapia). Non sono poi tantissime, ma sono importanti, a cominciare dalla metafora, continuando con l’allegoria, e ancora con sineddoche e metonimia, eufemismi e disfemismi, perifrasi, antonomasie, iperboli.
Ogni volta che la linearità di ciò che diciamo balza, sobbalza, si ribalta, sterza, e viene inserita una parola con un significato che non è il suo letterale, ma che ne intende uno esteso, ulteriore, alternativo, ogni volta che c’è una svolta, una deviazione di significato che ci riscuote dalla sequela scontata dei concetti, siamo davanti a un tropo; ad esempio anche una litote (che nega il contrario di ciò che afferma), o un’ironia (che dice il contrario di ciò che intende), possono essere tropi — sono rimasto non persuaso dalle tue parole, e quel bruto del tuo amico? mi ha lasciato incantato.
Il fatto che indichi un genere è molto utile; splendide le parole affilatissime che separano un crine del mondo, ma anche quelle che legano insieme un bel mazzo di realtà sono gagliarde. Ad esempio posso parlare di come lo stile dell’autrice si distingua per tropi cervellotici ma simpatici, ci appuntiamo certi tropi che troviamo nell’articolo scritto da una persona che la sa lunga, e il romanzo storico mette in bocca ai personaggi con maestria anche certi tropi tipici del periodo. Sentiamo bene come questa sfocatura permetta di abbracciare un’intera famiglia di strumenti.
Va comunque notato che ‘tropo’ è propriamente il cambiamento, e il fatto che indichi anche la parola o la locuzione è esso stesso un tropo. Ma esistono anche altri tropi — ce lo dovevamo aspettare, dopotutto il termine è molto generico.
È anche un termine della filosofia antica: fra l’altro è un argomento, ma diciamo pure un percorso di confutazione, con cui gli scettici escludevano la possibilità della conoscenza. Se ne trovano codifiche e compilazioni, ma diciamo che erano argomenti che miravano a chiudere ogni discorso nell’angolo di un’antinomia irrisolvibile, di un limite d’inconoscibilità, secondo un relativismo radicale. Oggi ci sono poco utili in sé, ma ci aiutano a capire meglio la natura delle figure retoriche.
I tropi, che hanno la natura di un cambiamento, di una svolta, sono degli attrezzi, dei modi con cui possiamo dire delle cose. Se ci aggiungiamo che nella musica medievale il tropo è il modo, la tonalità, e che nelle liturgie cristiane è il nuovo canto che viene inserito, ecco completato il quadro di un cambiamento che è strumento, di uno strumento che è cambiamento.
Ah, può capitare di sentir parlare di ‘tropo letterario’ o simili; il più delle volte non è un tropo che investe la parola tropo, ma un malapropismo per ‘topos’.