Topos

tò-pos

Significato In retorica, schema di pensiero precostituito, luogo comune; motivo stilistico, elementi tematico che ricorre in un autore, in un genere, in una corrente

Etimologia voce greca, letteralmente ‘luogo’.

  • «Fra gli altri, spicca il topos romantico del colpo di fulmine al matrimonio del conoscente.»

Detta in una lingua diversa, usata cruda com’è, senza adattamenti, la parola più semplice e vasta può acquistare una specificità affilatissima. Se nella fattispecie la lingua diversa è il greco, sappiamo già che si tratterà di una specificità di grande levatura ideale (le crudités hanno caratterizzazioni molto forti anche solo in base alla loro lingua di appartenenza).

Il topos è letteralmente il ‘luogo’, niente di più. È un termine familiare, che riconosciamo in diverse parole composte, dalla toponomastica (nomi dei luoghi) alla topografia (mappatura), da utopia e distopia fino al cronotopo. Ma se entra nei nostri discorsi in veste greca, proprio come topos, prende un valore speciale, che non ha nulla a che vedere coi luoghi fisici.

Potremmo formulare una prima equivalenza dicendo che il topos è il luogo comune.
Noi abbiamo un’idea pessima dei luoghi comuni, pensiamo che siano lo spazio di banalità e cliché e stereotipi, e però, se prendiamo bene la metafora, i luoghi comuni sono luoghi che in genere abitiamo in comunità — luoghi noti, frequentati, accessibili, partecipati. I luoghi non comuni per contro possono essere privati o alpestri.

Questo tratto di ‘luogo comune’ ha una prima dimensione retorica. Il topos è uno schema prefabbricato di pensiero, a cui chi parla ricorre con sicurezza: si produce senza impegno e sarà facilmente compreso. È un posto noto, familiare.
Se restiamo più strettamente in ambito retorico, vediamo una certa affinità con le figure retoriche: pensiamo al topos della concessione fatta alla controparte, o della simulazione di modestia (rispettivamente epitrope e asteismo). Ma la letteratura pullula di topos — o tòpoi, se per maggior effetto vogliamo usare il plurale greco — schemi precostituiti che prendono la forma di elementi tematici ricorrenti o motivi stilistici propri di autori, generi, filoni.

Pensiamo al topos dello pseudobiblion in Borges, al topos del troppo abominevole e terrorizzante per poter essere descritto in Lovecraft; al topos del ritorno in patria nel mito greco (il nóstos, ne parlavamo a proposito della nostalgia), a quello della cerca di uno speciale oggetto (quête) nel ciclo arturiano; al topos della montagna in Buzzati, quello della caccia in Caproni; al topos delle ricette culinarie che si trovano immancabilmente nei libri gialli, al topos della campagna ideale nell’Accademia dell’Arcadia — e giù a cascata città babeliche, catàbasi, agnizioni e chi più ne ha più ne metta.

I topos costituiscono una grammatica narrativa, e forse (nel modo in cui sono il posto della condivisione dei significati) custodiscono una parte di ciò che rende letteratura la letteratura. In particolare la loro interazione è cruciale: condividono la natura del cliché, ma come sintetizzava Umberto Eco «Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono».

Certo però non nel giornalismo, che pullula di topos: ma qui, piuttosto che della materia eterna della commedia umana, i topos sono fatti di plastica pigra — tutta una masnada di madri coraggio e orchi e coserecord e titoli «Io, [qualcosa]» e avvisi di garanzia che raggiungono qualcuno (che naturalmente è sereno).

Il concetto è finissimo: con una metafora ardita che è essa stessa, letteralmente, un luogo comune, il topos ci presenta l’equilibrio (impossibile ed evidente insieme) fra il frusto e il condiviso, fra il banale e il partecipato, in un luogo vuoto pieno di valore.
Uno splendido paradosso, vecchio come la civiltà… o no: in effetti questo uso di ‘topos’ quest’anno ne fa sessanta.

Parola pubblicata il 30 Maggio 2024