Sbigottito

Scorci letterari

sbi-got-tì-to

Significato Profondamente turbato, allibito, spiacevolmente sorpreso

Etimologia participio passato di sbigottire, di etimologia incerta. Forse dall’antico francese esbahir, giunto attraverso il provenzale esbair.

Questo è un attributo davvero intenso - una tinta forte del discorso, ma non spigolosa, anzi piuttosto raffinata.

Lo sbigottito mostra un turbamento profondo, che immobilizza viso e pensiero, provocato da una sorpresa che il più delle volte s’intende come spiacevole. Ci lascia sbigottiti il finale tragico della serie televisiva, restiamo sbigottiti davanti alla risposta cruda, e i pompieri devono allontanare dall’incendio la folla sbigottita. E ‘sbigottito’ può essere attributo non solo della persona intera, ma anche di qualcosa che le pertiene: balbetto con voce sbigottita, la mente sbigottita non trova soluzioni.

Nello sbigottito c’è forse qualcosa di meno cerebrale che nello sgomento, che sappiamo parente del commento; per quanto la sua etimologia sia dibattuta, è probabile che la suggestione provenzale dell’esbair si sia avvicinata al termine bagutta, nome antico di una maschera divenuta poi celebre nella Venezia del Settecento col nome di baùtta o baùta (quella che copre la parte superiore del viso, con naso pronunciato, mantelletto dietro la testa e tricorno sopra). L’ipotesi di questo avvicinamento ci dà l’addentellato di un turbamento che si manifesta sul volto come una maschera. Esattamente il senso con cui lo sbigottito vive. Un’immagine davvero ricca.

Pare invece da escludere, per questione cronologica, l’influenza del termine tardo ‘bigotto’.

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(G. Boccaccio, Decameron, quarta novella della sesta giornata)

[Il cuoco Chichibìo sottrae una coscia alla gru che ha cucinato per il suo signore Corrado, e poi si giustifica dicendo che tutte le gru hanno una gamba sola. Corrado, irato, lo porta al fiume per smentirlo.]

[Videro] sopra la riva ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, si come quando dormono soglion fare. […] [Ma] Currado […] gridò: “Ho ho” [e] le gru, mandato l’altro piè giù, […] cominciarono a fuggire. Laonde Currado […] disse: “Che ti par, ghiottone? Ti par ch’elle n’abbian due?”

Chichibìo, quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde [gli] venisse, rispose: “Messer sì, ma voi non gridaste - ho ho - a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia […] fuor mandata.” […] [E] a Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso.

Questa novella è un perfetto cocktail dei due mondi tra cui si muove Boccaccio: quello cortese e quello mercantile.

Abbiamo infatti un signore autoritario, la cui rabbia aleggia come una spada di Damocle su tutto il racconto. E abbiamo un servo che, quasi rintontito dall’angoscia, trova una scusa più patetica dell’altra.

Dal fondo dello sbigottimento però emerge una battuta, brillante proprio per la sua plateale ingenuità. E qui ritroviamo due capisaldi della mentalità borghese: l’ingegno – dunque l’agilità mentale, quello che oggi chiameremmo problem solving – e la fortuna, ossia l’ispirazione che soccorre Chichibìo al momento giusto.

D’altra parte la reazione magnanima del signore rimanda al savoir faire delle corti, in cui le relazioni si intessono grazie all’uso abile della parola. Proprio in quest’ultima, dunque, i due mondi trovano il loro punto d’unione.

Entrambi poi si muovono nello stesso orizzonte, pragmatico e mondano. Boccaccio infatti – all’opposto di Petrarca – dà largo spazio ai sensi e alla materialità, sempre però nei limiti del buon senso. Ottiene così un impasto di realismo e ironia, da cui si irradia la gioia del narrare e la curiosità di fronte a un mondo vario e dinamico.

È anche vero che nel Decameron serpeggia un’aggressività sotterranea, di cui il motto di spirito è un’espressione sublimata. Del resto l’opera è ambientata durante la peste, in un momento di massima disgregazione sociale: in questo contesto un gruppo di giovani si ritira in una villa isolata, raccontandosi novelle per passatempo (tra cui quella di Chichibio).

Tuttavia il Decameron ci mostra un modo non tanto di censurare gli istinti, quanto di riformularli, appoggiandosi al potere creativo della parola. Grazie a questa infatti Chichibìo riesce ad averla vinta sul signore; e sempre grazie a questa la brigata dei giovani reagisce al degrado, ricostruendo una civiltà in miniatura. Vi ricorda forse una brigata virtuale di nostra conoscenza?

Parola pubblicata il 05 Febbraio 2018

Scorci letterari - con Lucia Masetti

Con Lucia Masetti, dottoranda in letteratura italiana, uno scorcio letterario sulla parola del giorno.