Amanuense
a-ma-nu-èn-se
Significato Copista, scrivano
Etimologia voce dotta recuperata dal latino amanuensis, dall’espressione a manu ‘a mano’.
Parola pubblicata il 27 Settembre 2021
a-ma-nu-èn-se
Significato Copista, scrivano
Etimologia voce dotta recuperata dal latino amanuensis, dall’espressione a manu ‘a mano’.
Parola pubblicata il 27 Settembre 2021
L’amanuense è una figura talmente tipica del medioevo da essere arcinota. Ma da sola (anche se ha un peso immaginifico notevole) non racconta tutta la storia e la potenzialità del suo nome: ha un passato ulteriore e degli esiti seguenti che sono meno noti.
A naso si intende facilmente che l’amanuense è qualcuno che scrive ‘a mano’. E difatti trae il suo nome dalla locuzione latina ‘a manu’. Ma l’amanuensis latino non nasce chino a copiare libri.
Originariamente, a Roma, è stato uno schiavo o liberto con funzioni di attendente personale del padrone. Che naturalmente si trova a portata di mano del padrone (alcuni etimologi danno questa per lettura originale della dicitura servus a manu), e che si trova a operare scrivendo a mano per suo conto. Difatti la figura dell’amanuense primigenio è prossima al segretario, piuttosto che al copista. Ma sempre il profilo di scriba ha.
In epoche posteriori, in cui a mano a mano il sapere e la sua conservazione scritta si arrocca nei monasteri, l’amanuensis si trova ad essere reinterpretato come parte vitale di un’industria culturale di importanza capitale: la copiatura dei libri, e quindi la loro moltiplicazione. Compiuta a mano, ovviamente. E qui si colloca l’opera (le vedete?) di migliaia di persone in tutta Europa che nel luminoso spazio di uno scriptorium, in profonda concentrazione, grattavano con le loro penne sulla pergamena, riportando lettera per lettera testi da non perdere.
La storia di questa grande devota pratica si conserva nel nostro immaginario, parametro di cura, di pazienza (anche in virtù delle sue cinque lunghe sillabe) — e la memoria dei suoi umani errori si conserva in parole come busillis, collimare, nelle aplografie e nelle contrarie dittografie. Libri e documenti di ogni biblioteca di grandi poli culturali e di ricchi privati si sono riprodotti grazie alla professione degli amanuensi. Ma come sappiamo è una storia che è giunta a un termine brusco con l’invenzione della stampa in Europa.
Anche se ci pare una transizione ormai aliena, non dobbiamo credere che non si sia perso nulla, insieme alla figura dell’amanuense. Il rapporto con il libro e la cultura è trascolorato, e ci fu chi, alle porte del Cinquecento, cercava di difendere il valore di questo modo di perpetuare la conoscenza, anche senza disconoscere con vigore luddista il valore della nuova editoria — pensiamo al De laude scriptorum manualium dell’umanista Giovanni Tritemio.
La stampa non ha comunque spazzato via la figura dell’amanuense, che però è tornato a un profilo da scriba, impiegatizio. L’amanuense ha continuato a copiare a mano quella galassia di atti e documenti effimeri che non era necessario pubblicare a stampa (quando ancora stampare era macchinoso); possiamo pensare all’umile protagonista de Il cappotto di Gogol’, Akakij Akakievič, che trova la sua soddisfazione professionale proprio nel mestiere di amanuense — e che prova disagio davanti alle proposte di compiti più inventivi e prestigiosi. In effetti, l’amanuense gode di una considerazione via via minore, da scribacchino.
E ancora oggi una fatica da amanuense, che facciamo magari ricopiando degli appunti, delle ricette, dei numeri di telefono, delle date su un quaderno bianco per farne un calendario, ci pare — oltre che onerosa — una forca caudina sciocca e antiquata. Tranne quando, momenti rari e forti, percepiamo autenticamente il valore del gesto (come forse lo intendeva Tritemio). Quando trascriviamo come amanuensi la lunga poesia sul tabellone, quando riportiamo con cura amanuense nell’agenda un brano che ci rappresenta e ispira, quando ricopiamo da amanuensi le regole del gioco da distribuire a tutto il gruppo.
Una parola che parla sì del monaco curvo sul leggio. Ma che è capace di evocare un tessuto di immagini, esperienze e sensazioni di lungo valore e rappresentazione icastica.