Pullulabondo

pul-lu-la-bón-do

Significato Che continuamente mette nuove teste

Etimologia da pullulare, voce dotta recuperata dal latino pullulare, da pùllulus ‘germoglio’, col suffisso aggettivale -bondo.

  • «Che pacchia, questa fungaia è pullulabonda.»

È una parola eccezionale sotto vari profili — ma questo è chiarissimo fin da quando leggiamo il suo significato di ‘che mette teste continuamente’.

Appartiene alla gang poetica delle parole che terminano in -bondo: molte sono di derivazione latina, altre sono invenzioni più o meno recenti. Quasi sempre traggono una qualità a partire da un verbo, e ci mostrano un atteggiamento, una tendenza a un comportamento, uno stato suscitato, che si muove o trascina.
Alcune, più comuni, vedono una normalizzazione del loro tratto poetico, dal furibondo al vagabondo al moribondo; altre lo ostentano, dall’errabondo al gemebondo al meditabondo.

‘Pullulabondo’ è una parola rarissima, e molto precisa, costruita a partire dal ‘pullulare’ — parola ben più nota… e che però è labile.
Noi, nel suo uso corrente, sentiamo il pullulare come dinamico: se la via pullula di turisti, eccola gremita, formicolante, zeppa di gente che va e viene, si sposta e sta, si siede e si alza. Questa è però un’estensione.

Il latino pullulus è diminutivo di pullus, ‘gemoglio’. Pullulare è germogliare, anzi astraiamo subito ‘sorgere in gran numero’. La figura fondamentale del pullulare a cui ci possiamo agganciare è quella del prato che pullula di margherite ad aprile. Mettono fuori la testa, sbucano a miriadi — e quindi ecco che la città pullula di occasioni, il fronte del locale pullula di bella gente ripicchiata, la piazza pullula di piccioni: tutti margheritoni metaforici del gran prato del mondo.

La precisione del pullulabondo s’indenta proprio sul pullulare-spuntare. Caccia teste in continuazione.
È senz’altro pullulabondo l’Idra di Lerna, fra i più famosi mostri dell’antichità — che caccia teste nuove ogni volta che gliene viene potata una —, e in effetti è il riferimento dell’unico uso notevole di ‘pullulabondo’ registrato in letteratura, dalla penna di Marco Antonio Ceresa, nel suo poemetto Somnium Delphili (siamo nella prima metà del Cinquecento, potrebbe essersela inventata lui — ed è curioso che un’altra parola che esiste a stento, il sagittabondo, sia non solo simile ma condivida una simile storia).
Invece, volendo restare prossimi alla nostra esperienza, possiamo parlare di una siepe inestirpabile e pullulabonda, di una citazione pullulabonda che ci sembra di trovare germinata (sempre un po’ diversa) in ogni saggio e in ogni articolo, di un problema pullulabondo che continua a manifestarsi a dispetto di ogni contromossa.

È senz’altro una parola sofisticata: non può contare sull’accessibilità diretta data dall’uso, e anche sul versante del pullulare l’accezione che impiega non è immediata. Però la lingua che usiamo non deve essere sempre completamente trasparente dalla cima al fondo.
I sensi del ‘pullulare’ sono tenuti bene insieme, quel ‘-bondo’ dà profondità a un modo di ribollire: è un cultismo sì, ma non criptico. Se pure fosse inteso come un ipotetico brulicabondo, non perderebbe un bottone di eloquenza. Anche se tener presente che stiamo parlando di un’Idra fa più effetto…!

Parola pubblicata il 19 Dicembre 2025 • di Giorgio Moretti