Villano

La strana coppia

vil-là-no

Significato Contadino; rozzo, scortese

Etimologia dal latino tardo villanus ‘abitante della campagna’, derivato di villa ‘podere’.

In ogni tempo, l’uomo è stato instancabile nell’inventare criteri di inclusione ed esclusione, atti a stabilire un ‘noi’ e un ‘loro’ su base geografica (nord-sud, oriente-occidente), di stirpe (nobili-plebei, razze ‘pure’ e ‘impure’), di religione (fedeli) e via discriminando. Tra le divisioni più rilevanti e durature vi è senz’altro quella tra cittadini e abitanti delle campagne, e la storia di parole come cafone, bifolco e pacchiano non lascia dubbi circa il giudizio degli uni sugli altri.

Anche villano, naturalmente, appartiene al medesimo campo semantico, eppure pare meno trasparente nella sua ovvia derivazione dalla villa: essendo quest’ultima una casa signorile, di pregio, cosa c’entreranno mai i contadini? In realtà, occorre precisare di quali ville si parla. Il senso odierno del termine è analogo a quello della villa urbana dei Romani: una residenza di campagna, in cui chi poteva permetterselo andava a ritemprarsi dalle fatiche della vita cittadina o dalla calura estiva. La villa rustica, invece, più lontana dalla città, era una fattoria abitata permanentemente dai servi che coltivavano la terra, e nel Medioevo queste ville divennero tenute agricole autosufficienti e in genere fortificate, i cui abitanti, spesso servi della gleba, erano detti villani o villici.

Non è difficile capire come nel basso Medioevo, in un’epoca di rinascita di città e traffici, i cittadini guardassero con disprezzo a chi era rimasto aggiogato al duro lavoro dei campi, estraneo ai fermenti di rinnovamento sociale e culturale che galvanizzavano i centri urbani. Ai rustici, che non potevano permettersi l’equipaggiamento da cavaliere, erano preclusi tanto la cavalleria quanto i suoi raffinati ideali di amor cortese, e non a caso nel Dolce Stil Novo l’opposto del ‘cor gentile’ – l’animo nobile, capace di accogliere in sé l’amore – è proprio il ‘cor villano’, così rozzo da essere “d’amor nemico e de li suoi disiri” (Cino da Pistoia). In realtà, all’inizio – e ancora fino all’Ottocento – villano poteva essere usato anche in senso neutro, come sinonimo di ‘contadino’, poi l’accezione spregiativa prese il sopravvento, e oggi il termine non significa altro che ‘maleducato, rozzo’ – inurbano, appunto.

Ma agli inglesi, evidentemente, questo trattamento non pareva abbastanza severo: il loro villain è addirittura una canaglia, un mascalzone, un delinquente, e in ambito narrativo – come personaggio di un romanzo, un dramma o un film – il villain è puramente e semplicemente il cattivo. Da Iago a Voldemort, da Capitan Uncino a Hannibal Lecter: tutti villains. Inoltre, essere villain non è neppure una prerogativa umana: tutto ciò che porta la colpa, la responsabilità di un danno o di una minaccia – ad esempio, il colesterolo rispetto alla salute, il traffico automobilistico quanto all’inquinamento – in inglese è un villain.

I francesi, infine, hanno chiuso il cerchio. Come già osservato a proposito di netto, la lingua tradisce una chiara tendenza umana ad associare e contrapporre le triadi bello-pulito-buono e brutto-sporco-cattivo. Perché, quindi, i villani non dovrebbero essere anche brutti? Detto fatto: in francese, vilain non è solo brutto nel senso di ‘cattivo’ – un brutto raffreddore è un vilain rhume, il brutto tempo è vilain temps – ma anche in senso strettamente fisico: delle mani brutte sono vilaines mains.

In ogni lingua, insomma, il povero villano pare essere sprezzato e mazziato, ma con modulazioni differenti: l’italiano puntando il dito sulla malacreanza, l’inurbanità; l’inglese sulla malvagità, l’infamia morale; il francese sul deficit estetico. Possiamo trarne qualche conclusione?

Parola pubblicata il 18 Agosto 2020

La strana coppia - con Salvatore Congiu

Parole sorelle, che dalla stessa origine fioriscono in lingue diverse, possono prendere le pieghe di significato più impensate. Con Salvatore Congiu, insegnante e poliglotta, un martedì su due vedremo una di queste strane coppie, in cui la parola italiana si confronterà con la sorella inglese, francese, spagnola o tedesca.