Latinorum
Alessandro Manzoni, le parole
la-ti-nò-rum
Significato Lingua latina usata in modo oscuro e pedantesco
Etimologia da latino, con la desinenza -orum di un genitivo plurale latino.
- «Io di codesto latinorum proprio non m'intendo.»
Parola pubblicata il 22 Maggio 2023
Alessandro Manzoni, le parole - con Lucia Masetti
Il 22 maggio 2023 ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, celeberrimo, odiosamato gigante della nostra letteratura. L’impatto della sua opera sulla lingua italiana ha un rilievo con pochi paragoni: lo raccontiamo in sette parole — un dizionario minimo manzoniano, un piccolo safari nei 'Promessi sposi'.
Il latino è stato per un tempo lunghissimo la lingua del potere e della conoscenza: tutto quello che c’era di importante da dire o scrivere veniva detto e scritto in latino. È naturale che la gente, a partire dal medioevo, maturasse sentimenti contrastanti nei suoi confronti: da un lato è effettivamente un veicolo arcano che incute soggezione, dall’altro suscita dalle viscere una certa specie di repulsione, quella verso la formalità incomprensibile che vuole non farsi intendere, e pretende di reggere le nostre sorti.
Nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni questo tipo di sentimento è incarnato in un termine che di lì in avanti è rimasto molto famoso: latinorum. Il latinorum è morfologicamente, a livello di composizione del termine, un ‘latino’ a cui è attaccata, senza senso grammaticale, la caricatura di una desinenza di un genitivo plurale latino, che ha il carattere di essere latineggiante in maniera molto ingombrante e riconoscibile.
Semanticamente, quindi a livello di significato, il latinorum è precisamente la lingua latina che risulta oscura; circostanziando un po’, o è la lingua latina che risulta oscura per propria inscienza (come annota Niccolò Tommaseo, che splendida alternativa a ‘ignoranza’) o per uso affettato e pedantesco. Il tono del termine è nel migliore dei casi scherzoso, nel peggiore spregiativo: posso ridere del latinorum dell’amica avvocata che sta tentando di spiegarmi come sbrogliarmi da un impiccio, ma posso anche criticare il latinorum con cui l’amministrazione pubblica comunica l’accesso al bando.
Nella lingua oscura si annodano la realtà e la finzione del potere, subordinazioni vere e falsi gioghi; il latinorum, con l’ironia del paradosso e della forma grottesca, svela questo meccanismo in una maniera splendida. Resta da capire una cosa, però: da dove l’ha tirato fuori, questo termine, Manzoni?
Su molti dizionari si parla di una ‘voce popolare’, ideata dalla scanzonata mente della collettività — ma è una ricostruzione che ha le sue fragilità. Non attestata prima che Manzoni la scrivesse e successivamente sempre impiegata in ambienti dotti che vi fanno riferimento specifico e patente, simile a certe altre buffe caricature linguistiche presenti nei Promessi sposi (quando Renzo fa il verso a Ferrer, dice fra l’altro «Siès baraòs trapolorum», un nonsense latineggiante — Renzo non capisce nemmeno che Ferrer parla spagnolo), non è affatto da escludere che si sia davanti a una trovata originale di Manzoni stesso, persona coltissima che mette una caricatura della dottrina in bocca a un ragazzo incolto.
A sedici anni Manzoni si descrive come un ragazzo “che il ver favella apertamente, o tace” (Ritratto di se stesso). E tale è rimasto il suo ideale per tutta la vita: la fedeltà al vero. In ciò somiglia molto al suo Renzo, che avanza nella vita con “lieta furia”, dicendo pane al pane e vino al vino.
Entrambi, però, scoprono presto che il rapporto tra parole e cose è assai meno diretto di quanto sembri. C’è un’opacità di fondo nel linguaggio, che chiede impegno per essere superata e che, nelle mani sbagliate, lo trasforma in arma. Infatti è relativamente raro che la falsità si manifesti come aperta menzogna: più spesso è un pervertimento della verità.
Per esempio don Abbondio, quando su intimazione di don Rodrigo rifiuta di sposare Renzo e Lucia, non dice in realtà nulla di falso. Gli “impedimenti dirimenti” sono tratti pari pari dagli Acta Ecclesiae Mediolanensis di Carlo Borromeo; peccato che non c’entrino nulla col caso specifico. Il prete quindi mente in modo indiretto: tace la verità e confonde il discorso con parole inutili. Sono gli stessi strumenti prediletti da tanti mentitori, dal raffinato conte zio all’“abbominevole Griso”.
La scelta del latino è la punta di diamante di questa strategia, ottenendo il duplice effetto di umiliare Renzo per la sua ignoranza e di dare un’apparenza di forza agli argomenti più fumosi. È la stessa dinamica che oggi coinvolge l’itanglese, ossia l’uso insistito e superfluo di termini inglesi proprio, soprattutto, dell’ambito finanziario e aziendale.
Un esempio analogo è ciò che Calvino chiama l’antilingua, ossia il gergo oscuro dei burocrati. Tale è l’idioma dell’avvocato Azzeccagarbugli, che a Renzo risulta ancor più indecifrabile del “latinorum”. Non solo, infatti, la scrittura è un mondo accessibile solo agli alfabetizzati – che per secoli sono stati una sparuta minoranza – ma per di più è gravemente vulnerabile ai fraintendimenti, giacché non può contare sull’ausilio del linguaggio non verbale. Tanto che, “a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente” (cap. III).
Da questo shock gnoseologico, tuttavia, parte il percorso di Renzo, che è un progressivo riavvicinamento al vero: imparerà a leggere le intenzioni altrui al di sotto delle parole ingannevoli, nonché a pesare le proprie parole per ridurre equivoci e contrasti (cap. XXXVIII).
Un percorso, in fondo, simile a quello del suo autore, che stesura dopo stesura cerca una lingua universale e insieme viva, semplice ma non semplicistica, che possa guidare il lettore nella comprensione del romanzo e della vita.