Zerbino
zer-bì-no
Significato Piccolo tappeto che si mette davanti all’ingresso per pulirsi le suole; giovane galante eccessivamente curato
Etimologia nel primo significato, dall’arabo zirbiy ‘tappeto, cuscino’; nel secondo, da Zerbino, nome di un personaggio dell’Orlando Furioso.
Parola pubblicata il 22 Febbraio 2018
Questa non è una parola, sono due.
Lo zerbino frequenta i nostri pensieri e i nostri discorsi quale piccolo tappeto o stuoia da piazzare all’ingresso delle abitazioni - e l’origine araba del nome non stupisce. Quella ispida, resistente ruvidità che detesteremmo in un tappeto da interni per lo zerbino è invece funzionale: infatti, anche se può avere qualche velleità decorativa, esso serve essenzialmente a grattarci sopra le suole delle scarpe per pulirle prima di entrare in casa, in ufficio e via dicendo. Un oggetto importante ma molto umile - anzi è difficile pensare ad altri oggetti più umili dello zerbino.
Tanto servile e tanto negletto pare lo zerbino mio quando ci struscio sopra le suole, che figuratamente diventa zerbino la persona passiva, asservita, che si presta senza opporsi allo sfruttamento, docile a ogni prevaricazione. La figura del mettere i piedi in testa, qui, calza. L’atteggiamento arrendevole dello zerbino può essere ambivalente - può covare risentimento e sottomettersi con zelo conveniente o abbracciare contento e volenteroso la sua condizione: classicamente la fanciulla scafata si approfitta dei servigi di uno zerbino, il silenzioso zerbino carpisce i segreti industriali e si mette in proprio, e quello che pareva essere un politico rampante diventa lo zerbino dei dirigenti del partito.
Ma dicevamo che ‘zerbino’ può anche essere un’altra parola. Un’antonomasia, che nasce - anche questa - dalla galassia dell’Orlando Furioso. Qui Zerbino è il principe ereditario di Scozia: un giovane galante, azzimato, di un’eleganza affettata e ostentata oltre il buongusto. E questi sono i caratteri che passano nell’antonomasia: fuori dal locale ci sono molti bizzarri zerbini a fumare, il rampollo della dinastia non è che uno zerbinotto vanesio, e l’amico zerbino si sente irresistibile.
Ci sono due motivi per cui dire “Peccato”: il primo è che questa seconda parola è praticamente inutilizzabile - il riferimento allo zerbino-tappeto, anche figurato, è troppo forte. Insomma, se diciamo che Tizio è uno zerbino, non si pensa mai che sia azzimato, ma sempre che sia ossequente. Il secondo è che, in quest’antonomasia, di Zerbino risaltano solo i connotati peggiori: egli è sinceramente innamorato della saracena Isabella, conosciuta alla giostra di Baiona; accorre valorosamente in aiuto di Carlo Magno durante l’assedio di Parigi; mostra umanità risparmiando il giovane Medoro (Ma come gli occhi a quel bel volto mise,/ Gli ne venne pietade, e non l’uccise.); muore, ucciso da Mandricardo, cercando di impedirgli di impossessarsi della Durlindana, la mitica spada di Orlando, che l’ha abbandonata nella sua follia.