Fato
fà-to
Significato Destino, caso
Etimologia voce dotta recuperata dal latino fatum ‘profezia’, ma propriamente participio passato di fari ‘dire’.
- «È stato il fato a farci allontanare, non quella scenata che gli ho fatto in pubblico.»
Parola pubblicata il 30 Settembre 2025
È una parola potentissima! Quando si sente nominare è subito solennità, subito ragionamento su destini (se non ultimi) certo alti, almeno scritti. O be’, detti.
Già, nell’etimo del fato troviamo un po’ sconfessata l’idea latina prima e nostra poi che verba volant, scripta manent (‘le parole volano, gli scritti rimangono’ — anche se mia nonna mi raccontava di quell’avvocato, principe del foro e arringatore magistrale, che aveva fatto scolpire sul frontone della sua nuova villa il motto verba manent). Dipende da chi parla, e in quali contesti.
Il latino fatum è propriamente participio passato di fari, ‘parlare’ (un verbo centrale e con varie accezioni, che ritroviamo nella storia di molte parole — dal facondo alla favola, dall’infante all’affabile, dal nefando all’ineffabile, fino alla prefazione): fatum è quindi alla lettera ‘ciò che è stato detto’. Da chi? Dalle divinità. Per eccellenza questo semplice ‘detto’ diventa un oracolo, una profezia, e quindi la sorte, il destino che il vaticinio prefigura.
Non è che una parola del genere si faccia maltrattare. La usano tutti col riguardo di quando si sposta la pregevole statuina di Murano. Così il fato è rimasto sempre alto.
Non è che sia un fato ineludibile, per le parole che parlano di robetta come destini e sorti. Il destino s’è anche impiegato alle poste e alle ferrovie con destinatari e destinazioni, la sorte invece è sempre stata una compagnia senza troppe pretese — le sorti, tessere lanciate a fini divinatori, erano il vaticinio più grezzo dell’antichità — e ha sempre oscillato fra futuro fissato e puro caso.
Invece il fato ha dato vita al fatidico, qualità degli eventi decisivi che svelano il fato (letteralmente ‘fatidico’ sarebbe ciò ‘che dice il detto’); al fatale, stabilito dal fato e cruciale, irresistibile, e anche (col consueto ottimismo della lingua) mortale — ambito tetro su cui insiste anche la fatalità, abitualmente tragica. Più composto il fatalista, che accetta il fato con pacata rassegnazione, anche se è una fatalità fatale. Unico esito popolare, che scarta in maniera inattesa, la figura della fata: da Parca che decide i destini del mondo, a una sua personificazione magica più varia e modesta.
Certo, anche l’insondabilità del fato si presta comunque a una sfumatura di caso; ma gli resta addosso l’antica matrice di legge eterna e incontrastabile che regola il mondo, che assoggetta anche le divinità.
Posso parlare di una persona con cui ai tempi giocavamo in cortile, e che ha seguito il suo fato in un altro continente; posso parlare di come la temerarietà inesausta dell’amico gli abbia alla fine fatto incontrare il suo fato — un’imperitura gloria di nicchia; e se il fato lo vorrà ci incontreremo di nuovo.
Ha quasi un profilo personale, il fato; forse più del destino.